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  • MARIO ROSSO

PEDAGOGIA DELLA CADUTA

Aggiornamento: 8 gen 2022

Non c’è nulla di più ridicolo e tragico, allo stesso tempo, che cadere. Pare sia sufficiente credere di sapere di non cadere. O semplicemente lanciare un sassolino in uno stagno, dove cadere vuol dire affondare, annegare nell’ovvietà, senza più risalire.




QUADRO

Rosemarie e Sauveur, in un'incantevole domenica di maggio, passeggiavano lungo Boulevard Montmartre, col piccolo Dominique. Improvvisamente, un piccione rapì la sua attenzione: sottrasse delicatamente la manina da quella della mamma, trotterellando all’inseguimento del pennuto, che zampettava frettoloso davanti a lui.

Rosemarie: “Dominique, Dominique! Attento!

Dominique, saltellando, voltò lo sguardo divertito verso quello della mamma, che incomprensibilmente, gli apparve sgraziato. L’incauta torsione del capo - ahimè - fece perdere l’appoggio ai suoi piccoli piedi, e goffamente cadde. Rosemarie ammutolì, mentre il piccolo inseguitore, incredulo, si ritrovò seduto a fissare i suoi piccoli piedi: uno con la scarpetta, l’altro senza. Cercò, allora, gli occhi della mamma, che lo raccolse amorevolmente fra le sue braccia, mentre i suoi, colmi di lacrime, si accesero in un pianto liberatorio.

Rosemarie:” Dominique! Dai, fammi vedere…

Sincerandosi della bontà della caduta, lo ricoprì di amorevoli carezze, rincuorandolo con baci e sorrisi. Raccolse, infine, la scarpetta e l’infilò all’orfanello piedino.

Sauveur si avvicinò con delicatezza e portandoselo al petto gli sussurrò: “Coraggio Dominique! Va tutto bene. È già tutto passato!”

Il piccolo, con un braccio, cinse il collo del papà, e, chinando il capo sulla spalla di lui, con l’altro si portò il pollice alla bocca, placando l'affannoso respiro.

Un frullo d’ali, poco dopo, riaccese la sua curiosità: il piccione spiccò il volo, sollevandosi repentinamente verso il cielo. Dominique lo inseguì con gli occhi, fino a che l’uccello sfumò nell'orizzonte. Scrutò agli angoli di quel blu per quel tanto che servì ad allontanare il ricordo dell'accidentale evento. Fu sufficiente un leggero crepitio dei suoi piedini, per comunicare a Sauveur la volontà di tornare sui suoi piccoli passi. Sauveur comprese, e, con fermezza, restituì la strada ai piedini di Dominique. Ritto, pose saldamente i piedi a terra. Li sollevò sulle punte un paio di volte, per poi farli ricadere sui talloni. Accennò due brevi balzelli, per capacitarsi di non aver smarrito l’equilibrio, ma avvertì, come mai prima, la durezza sotto i suoi piedi. Istintivamente si aggrappò all'indice del padre, che riprese lentamente il cammino.

Uno, due, tre, dieci passetti! Senza perdere di vista i suoi piccoli piedi, sembrava tracciasse passi più certi e sicuri...man mano che avanzava lungo Boulevard Montmartre, in un’incantevole domenica di maggio.

 

Dalle cose insignificanti si generano conflitti, anche quelli più aspri, perché più sono ovvie tanto più il nostro essere si batte, abbatte e, inevitabilmente, cade Per poco più di una parola muta, di una folata improvvisa di vento...

Allora insegniamo che cadere non solo può essere pericoloso, ma anche - se ciò accadesse - che sei colpevole di aver ceduto alla distrazione. Ce la si può cavare con una lieve sbucciatura; in casi più seri con un femore rotto, ma se il volo è stato alto, si rischia la vita stessa.

“Cadere” è l’espressione di un’esperienza significativa.

Ci vuol poco per distrarsi, distogliersi dalla rotta! È sufficiente allargare l’orizzonte, tenersi aperti, e il rischio di perdere equilibrio, propensione, direzionalità., di scontrarsi con l’inciampo inaspettato, di non avvertire più i piedi sui propri passi, si fa inesorabilmente caduta! Sfugge alla coscienza il momento che libera dalla gravità, ma non quello che ad essa ci lega, scaraventandoci violentemente e goffamente col culo per terra! Si chiama dolore.

Doloroso è solo ciò che “ritorna”, “ri-lega”, che riconduce alla lotta estenuante fra l’eterno e il corruttibile, spaccandoci in due come una mela, tra il lividore di un momento e le parole profetiche di un padre che ci consola con quel “coraggio, è passato!”.

Una parola detta al momento giusto si fa pienezza. Ingentilisce il dolore, alleggerisce la colpa, rassicurandoci che nell’atto del suo “passare” si determina il nostro “essere”.

Cadendo si tocca il fondo, il piano d’appoggio. E cadiamo, necessariamente, tutte le volte che serve a ritornare “un corpo a terra che fa esperienza dell’essere”. Paradossalmente, pur consci che siamo ciò che per “caduta” tocchiamo e patiamo, da tale situazione, per tutta l’esistenza, ci distanziamo.

Pensate se ai nostri bambini insegnassimo che cadere è un atto consono alla natura umana, e non un effetto di una disattenzione: avremmo, molto probabilmente, uomini e donne “cascatori esperti”, più attenti, semmai, alle loro “rettitudini”. Saremmo un’umanità generatrice di pietà di fronte ad ogni evento cascante, anziché un gregge di coscienze impaurite, pervase da sentimenti feriti, buoni solo a condannare, a discriminare più che a sollevare, perché gli uomini e le donne, capaci di cadere, non fanno e non si fanno mai male!

Una sapienza umana sviluppata sull’esperienza della caduta, sul ricordo dell'impatto, racconterebbe una Storia di Misericordia. L'Uomo avrebbe la sapienza, di chi, nel proprio claudicare, vedrebbe, umilmente, tutta la potenza della sua verticalità.

Saremmo un’umanità pronta a tendere la mano, dalla memoria fertile, mai stanca di “raccontare il sogno di un’antica speranza…”

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